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PRIMA CHE SIA NOTTE
(BEFORE NIGHT FALLS)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 31 ottobre 2001
 
di Julian Schnabel, con Javier Bardem, Andrea di Stefano, Olivier Martinez, Johnny Depp, Sean Penn (Stati Uniti, 2000)
 
Adattato dalla nota autobiografia dello scrittore cubano Reinaldo Arenas, PRIMA CHE SIA NOTTE costituisce il secondo omaggio, dopo quello dedicato al pittore Jean-Michel Basquiat, che un altro celebre pittore contemporaneo, Julian Schnabel, rende ad un artista di lui assai più sfortunato, costretto alla marginalità ed alla discriminazione.

Con il medesimo impeto, ma con una facilità minore che nel suo primo film, Schnabel s'incolla alle tappe dell'esistenza travagliata di Arenas: l'infanzia un po' pittoresca (come tutto il resto del film, la scoperta dell'omosessualità (non priva di sculettanti ovvietà), la repressione, l'imprigionamento, la violenza sotto il regime di Fidel Castro (che dovrebbe costituire lo zoccolo duro del discorso), l'esilio a New York, l'AIDS ed il suicidio nell'indigenza e la solitudine (che appare come incollata a quanto precede).

Molta carne sul fuoco; che il pittore-regista affronta con la generosità espressiva che gli è certamente congeniale. Fatta di un appropriamento a fior di pelle - ora lirico, quasi fantastico, ora realistico - della materia, della fisicità che avvolge le sue storie ed i suoi personaggi. Di una golosità (o vogliamo definirla ingordigia?) visuale: che, a tratti, sembra far vivere il film dei propri eccessi, alimentarsi proprio per il fatto di costruirsi sopra le righe. Gli elementi naturali, l'acqua, la terra, il mare o il cielo; ma pure la parola, la poesia, la musica, il folclore. E, naturalmente, l'uso altrettanto esuberante della cinepresa: rigorosamente a spalla, sensualmente affidata ai primi piani, disinvoltamente sbandierata all'inseguimento di ogni ragione d'ispirazione.

Nella sua sanguigna ed un po' fatua energia PRIMA CHE SIA NOTTE finisce allora per essere soprattutto contraddittorio: generoso ed irritante. Generoso, per la volontà che sentiamo di un artista che sembra concedersi interamente per reclamare quella libertà indispensabile alla creazione. Irritante, per una sorta di compiacimento letterario che finisce per imporsi in una sceneggiatura disordinata e ripetitiva, priva di progressione ed in eterna ripartenza. E che finisce per togliere al film ciò che avrebbe dovuto privilegiare: la denuncia etica e politica, l'esaltazione lirica e poetica.

Rimane allora la consolazione di un film comunque diverso; e legittimato ad esserlo. Proprio come avrebbe dovuto essere la diversità di Reinaldo Arena


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